Ti aspetto e ti parlo piano

Vaneggiamenti di un padre in attesa

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Season 2 Episode 6 – La storia del bimbo coi guanti gialli e del benzinaio psicopatico (Part 1)

Ciao Nico,

Come procede? Immagino che ti annoi un pochino li dentro, allora lascia che ti racconti un’altra storia del buon Robin… così ti passa un pò il tempo 😉

Quando aveva 8 anni il padre lo portò, insieme all’amichetto del catechismo Maurizio, ai primi allenamenti con la squadra dei pulcini del San Lazzaro. Era una squadra di amici che giocavano insieme da qualche anno e vivevano tutti nel quartiere. Lui e Maurizio venivano da fuori, ed erano in quel campo solo a causa dell’insistenza dello zio Giorgio, che si vantava di un glorioso passato di giocatore nella stessa società vent’anni prima.

Sin dall’inizio era chiaro che di talento per calciare quella palla enorme e pesantissima ce n’era ben poco. Lui ce la metteva tutta ed usava la sua gambina come una mazza da golf che si distendeva schiantandosi sul cuoio riusciendo a malapena a farle fare un giro completo. C’era poi il problema degli spogliatoi. Lui e Maurizio arrivavano sempre tardi, non volendosi spogliare con gli altri bambini per poi essere gli unici ad andare sotto la doccia col costumino del mare, tra le risate e prese in giro generali.

Maurizio durò solo qualche settimana prima di gettare la spugna e dedicarsi al ballo liscio a tempo pieno. Ci vollero mesi prima di conquistarsi un minimo di credibilità ed una maglietta da panchinaro, l’unica senza numero. Aspettava le convocazioni con ansia al giovedì pomeriggio al termine dell’allenamento, ma per un paio d’anni riusci a sedersi in panchina una dozzina di volte.

Un giorno addirittura durante le fasi finali di un incontro si sentì dire di iniziare a scaldarsi che sarebbe entrato. Passò dieci minuti a fare scatti e piegamenti a ridosso della panchina con una smania che gli impediva di respirare. Non riusciva nemmeno a guardare il padre come sempre nascosto in silenzio dietro la rete, per paura di scoppiare a piangere dalla contentezza. Quando finalmente il gioco fu fermato e tutto sembrò pronto per il cambio, l’allenatore lo chiamo a sé, lui arrivò di corsa, era già esausto da tutto quel riscaldamento ma spinse in uno scatto tremendo per arrivare a sentire le istruzioni del mister.

Le istruzioni furono: « Dai ! Togliti la maglietta e dalla a Piccinini che deve entrare ».  Il cicciottello con la canottiera seduto in panchina si alzo’ sogghignando ed allungò la mano strappandogli letteralmente la maglietta di dosso. La lotta per la maglia senza numero in panchina era normalmente tra quei due. Il nostro eroe in lacrime si infilò l’enorme canottiera sudata di Piccinini e si sedette in silenzio.

Una volta effettuato l’ultimo cambio l’allenatore si voltava verso gli altri bambini ancora seduti in panchina e gli gridava : « Su voi, a far la doccia che almeno avete l’acqua calda ! ». Almeno una consolazione te la dava…

Quella era la voce rauca del suo allenatore, «il Dalla » alias Dallaturca Sergio, benzinaio Agip, creatura mitologica, metà uomo e metà animale bastardo.  Quella stessa voce spaventava i passeri appollaiati sulla rete metallica facendoli emigrare in Madagascar in tempi record. Quando ti urlava il Dalla piangevi dentro, i muscoli facciali ti si inchiodavano al teschio dalla paura, le lacrime evaporavano in nuvolette soffici. Tutti avevano una paura fottuta e non se la facevano addosso solo per paura di peggiorare le cose.

Quel benzinaio era alto e grosso, con due baffoni scuri e due mani che parevano badili. Aveva una stramaledetta passione per il calcio anche se non aveva veramente idea. Essendo un perdente nella vita, lui era nel calcio per vincere, non importava come; vincere era tutto, non ci dormiva la notte e non ci metteva le mani addosso solo perché c’era sempre qualche genitore presente. La sua idea di sport per bimbi era creare e forgiare un esercito spartano di piccoli gladiatori col sangue alla bocca. Per farlo li sottoponeva ad allenamenti estenuanti, sempre più duri e spigolosi. Quei bimbi terrorizzati sputavano l’anima per paura piuttosto che per passione. Fortuna voleva che la squadra prescelta per la sua missione di conquista del mondo calcistico sarebbe stata il San Lazzaro, classe ’70, la stessa squadra in cui l’insistente zio Giorgio aveva deciso di mandare il nipotino.

Per il Dalla gli allenamenti si tenevano regolarmente con qualsiasi condizione metereologica. Un giorno col campo coperto da uno strato di neve, sembrava di vederlo sogghignare sotto i baffi nel vedere quei bimbi rincorrere faticosamente il pallone. Ma se c’era una cosa che al bambino della nostra storia piaceva da matti era quello di buttarsi in capriole nella neve soffice. Il caso volle che lo mettessero in porta, e lui si distinse in tuffi dissennati verso ogni tiro che arrivava dalle sue parti. Non aveva idea, ma non aveva paura a tuffarsi e quando la palla arrivava gli si buttava contro con tutto il corpo facendosi colpire. Per lui quello era un bel gioco.

Al Dalla gli si illuminarono gli occhi, fermò il gioco e raccolse qualche pallone, chiedendo ai suoi guerrieri stanchi di calciare verso quel piccolo agilissimo acrobata.

Alla domenica seguente quel bimbo sfoggiò soddisfatto la maglia grigia col numero dodici passando davanti al padre sempre in piedi dietro la rete, andandosi ad accomodare in panchina di fianco a Piccinini, anch’egli soddisfatto con la sua maglietta senza numero…

continua in Season 2 Episode 7 – La storia del bimbo coi guanti gialli e del benzinaio psicopatico (Part 2)

Season 2 Episode 3 – Ti presento Robin

Robin si spiega con una storia che parla di un bambino splendido, bellissimo e sempre sorridente. Un bimbo con una leggerezza d’animo soprendente e l’innata capacità di far sorridere chi lo circondasse. Cominciò a camminare il giorno del suo primo compleanno, davanti ad uno stuolo di parenti immobilizzati a bocca aperta. Era il 17 Ottobre 1971. Con la sua camicia bianca, corpettino in pandane con i pantaloncini in velluto nero ed un cravattino a farfalla impeccabile. Era seduto sul divano verde del salotto, gongolandosi nelle attenzioni di zie procaci e premurose, che se lo passavano di braccio in braccio, strizzandogli le guanciotte pronunciate ed il doppio mento da criceto. Tra le mille cose che distraevano la sua attenzione c’era evidentemente la macchina fotografica del padre, argentea e luccicante, col cordino penzolante. Fu nell’istante esatto che il padre Adriano prese la macchina fotografica per ritrarlo nel suo splendore che senza esitazioni riuscì a divincolarsi dalle grinfie delle zie, si calò dal divano lasciandosi scivolare sulla schiena come se lo avesse fatto gia migliaia di volte. Una volta che i due piedini toccarono il pavimento si alzò sulle ginocchia, staccò la presa della mano della zia più arcigna e camminò verso il padre, che rimasto a bocca spalancata dalla sorpresa si dimenticò di fare la foto. « Questo bimbo è chiaramente un esibizionista » disse una pro zia della bassa padana. Aveva ragione !

Crescere era stato facile, piu’ avanti negli anni avrebbe pensato « fin troppo facile ». Non aveva mai chiesto molto e tutto l’indispensabile o l’aveva o era in grado di crearselo.

Se gli chiedevi cosa sarebbe voluto diventare da grande, senza un secondo di esitazione ti avrebbe risposto « Robin » l’aiutante di Batman !!

Robin era il suo vero idolo, rappresentava il ragazzino normale, senza poteri straordinari ma con una voglia disperata di aiutare a salvare il mondo che lo fiondava nel mezzo di lotte tra grandi criminali ed il celebrato padrino Batman. Erano certo piu’ le volte che metteva il proprio padrino nei casini che l’effettivo contributo nella lotta contro il male, ma nessuno glie ne voleva male viste le nobili intenzioni.

Sin da piccolo era stato un « realista », presto aveva capito che desiderare di essere un supereroe era un’inutile perdita di tempo. Non sentiva di avere le doti del leader e soprattutto aveva troppa voglia di giocare per sorbirsi le preoccupazioni che il ruolo di Batman comportava. Era molto meglio mettersi dietro e buttarsi nella lotta all’occorrenza, e magari interromperla per la merenda (un lusso che Batman non si poteva permettere).

Era cresciuto protetto e coccolato da una madre premurosa, dannatamente energetica e piena di risorse. La spettacolarita’ della madre era nella semplicita’ dei suoi gesti, nella sua capacita’ di rendere unica ed preziosa una mousse al cioccolato, cosi come una camicia a fiori cucita con le sue mani od un paio di pantaloni dismessi dalla sorella piu’ grande. Quell’ingegno contadino di fare di necessita’ virtu’ che non aveva mai fatto mancare nulla e reso una famiglia basso borghese l’invidia del vicinato.

Il Piccolo Robin aveva imparato dal suo esempio a non chiedere od aspettarsi nulla fuori dalla propria portata, crescendo senza vizi o tensioni, preferendo la propria unicita’ ad averi materiali di cui vantarsi ai giardinetti. Quello stesso ingegno della madre unito alla sua fantasia rendevano la sua bicicletta gialla, passatagli dalla sorella, unica e quasi mitologica, un paio di mollette, del nastro adesivo ed il suo sorriso di soddisfazione nel guidarla bastavano per generare l’invidia degli amici.

Come la madre, Robin aveva una fantasia spaventosa, riusciva a rendere interessanti ed uniche le cose che lo circondavano qualunque esse siano e non aveva paura a rendere partecipi delle sue scoperte chiunque fosse nei paraggi sia esso conoscente od un perfetto estraneo. La madre aveva un aurea limpida ed un sorriso spontaneo e vero, che lo accompagnava nelle sue giornate anche quando non gli era intorno, un aurea rassicurante e protettiva che lo fece vivere e crescere senza paure alcune. Anni dopo si rese conto di quanto prezioso fosse quel dono.

Le attenzioni della Lella ma soprattutto le storie del nonno materno lo avevano profondamente segnato sin dall’infanzia. Uno dei primi suoi ricordi era il nonno materno che lo svegliava un pomeriggio al mare. Doveva essere stata una visita inaspettata ma tant’e’ che alla sua vista, che quel giorno capii di avere un cuore capace di pulsazioni da togliere il fiato, e capii cosa fosse un’emozione. Quell’uomo seduto sul ciglio del letto accarezzando dolcemente sulla fronte Robin che, appena svegliato, ancora si strofinava gli occhi, aveva cominciato a raccontare una delle sue storie ; ed il tempo si era fermato. Robin aveva poco piu’ di quattro anni e quel giorno capii che il tempo si poteva veramente fermare.

Fermare il tempo: Lo avrebbe fermato molte volte in quegli anni, era la sua specialita’.

In ogni momento di vera felicita’ si fermava immobile, chiudeva gli occhietti e diceva « vorrei che il tempo si fermasse ora ! »… era come impacchettare quell’istante esatto con le sue sensazioni, coi suoi profumi, col sorriso del suo cuoricino ben impresso. Tempo dopo quando la tristezza lo attanagliava, chiudeva gli occhi e si rifugiava in quegli stessi momenti, quelle erano le sue uniche memorie, quelli erano i soli momenti che si portava dentro, istanti scelti, impacchettati col fiocco ; tutto il resto se lo dimenticava. Quella era la sua piu’ grande dote, lui non si confrontava con momenti del passato, lui non aveva una memoria e quindi esperienze negative che lo rincorrevano col forcone in mano. Ciò che aveva nel cuore era semplicemente una ben selezionata raccolta di momenti « The best of », come le cassette di Richard Claiderman del padre, o quelle di Fausto Papetti con le sue donnine a seno nudo in copertina.

Molti anni dopo, ripensando alla sua infanzia si rese conto di come non ci fosse un solo ricordo triste, un momento difficile, un ombra che i portasse dentro di quei primi 14 anni della sua vita. Non che non ce ne fossero, tutt’altro; se li era semplicemente dimenticati.

Lui ricordava solo i sorrisi di quelle polaroid.

Da una parte la serenita’ e la protezione dell’ambiente familiare, di una citta’ piccola e calma, dall’altra il suo spirito sereno ed un modo particolare di godere delle piccole cose, semplici e facili.

Ciao Nicolò, io sono Robin!