Ti aspetto e ti parlo piano

Vaneggiamenti di un padre in attesa

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Season 2 Episode 7 – La storia del bimbo coi guanti gialli e del benzinaio psicopatico (Part 2)

Continua dall’ Season 2 Episode 6 – La storia del bimbo coi guanti gialli e del benzinaio psicopatico (Part 1)

La fase finale del campionato « Pulcini » si avvicinava e quel bimbo si disimpegnava con discreto successo. Essendo ancora convinti che giocasse portiere per esigenza temporanea la madre gli passò un paio di dismessi guantini di lana gialla che lui si infilava con orgoglio.

Per lui non erano guanti normali, ma in possesso di poteri magici, capaci di attirare a sé il pallone e ribatterlo con convinzione. Coi suoi guantini gialli quel bimbo terrorizzato ce la metteva tutta, gettandosi incoscente ad occhi chiusi in direzione del pallone, a volte magicamente impugnandola, più spesso facendosi colpire. L’importante era non far vedere di aver paura.

Lo sguardo del Dalla sembrava compiaciuto nel vedere il suo nuovo portierino in azione. In poco tempo prese il posto di Chiesa, lo storico portiere titolare. Stava facendo bene e rispondeva sorridendo alle grida del benzinaio anche se dentro si sentiva morire.

Era giovedi 10 Aprile 1980, se lo ricordava dalla data sul gesso. Le finali si avvicinavano ed il San Lazzaro aveva uno squadrone di guerrierini incazzati proprio come voleva il benzinaio. Il Dalla mandò il gruppo a fare dei giri di campo a ritmo serrato e prese da parte il suo nuovo portierino mandandolo trai i pali. Raccolse una decina di palloni e li mise all’altezza del rigore.

Vedere quel bimbo di poco piu’ di un metro, con i suoi inseparabili guantini gialli, piazzato nel mezzo di una porta di dimensioni regolari doveva essere una bella immagine ; una di quelle foto artistiche in bianco e nere che si vedono in cartoline e poster. Ma per il benzinaio psicopatico quello era il momento della verità, lui voleva vincere, doveva spingere il suo portierino ben oltre i suoi limiti e per farlo conosceva solo un modo: prenderlo a pallonate.

Le prime due palle erano state di riscaldamento ed i guantini gialli del portierino avevano fatto il proprio dovere respingendo le bordate. Il palmo sinistro bruciava ancora da quell’ultima fucilata quando il Dalla con tono di sfida disse « Queste te le tiro belle forti, eh ! »

Il portierino deglutì, strinse gli occhi e non appena la palla partì si gettò con la mano distesa alla sua sinistra con tutta la forza che aveva in corpo, chiudendo gli occhi in attesa dell’impatto che non tardò ad arrivare. Sentì una strana scossa elettrica, seguita da un lieve e confuso fastidio. Rimase a terra cercando di capire cosa fosse successo; vide che la palla non era entrata in rete e tiro’ un sospiro di sollievo.

Dal dischetto del rigore il Dalla iniziò a complimentarsi per la splendida parata, come qualcuno che capisce di aver scoperto un piccolo talento. Il benzinaio psicopatico era tanto preso dai suoi pensieri soddisfatti che non si accorse che la sua piccola scoperta era ancora a terra. « Dai che non e’ niente !! In piedi !! » gli intimò.

Il bimbo provava ad alzarsi ma scompostamente, sembrava non riuscire ad usare le braccia, si mise in ginocchio tenedosi il polso sinistro, e non sembrava voler perdere quella presa. La mano sinistra gli sembrava addormentata, non sentiva dolore ne’ fastidio, semplicemente dormiva. Fece per rimettersi sulla linea di porta quando si accorse che qualcosa non andava. Si girò verso l’allenatore che stava iniziando a spazientirsi per quella perdita di tempo, e si incamminò verso il dischetto come per fargli vedere un animaletto che teneva in pugno. Mostrò il braccio sinistro al Dalla che con le sue dannatissime manone da benzinaio nell’accertarsi dell’accaduto gli fece lanciare un urlo sottile. Si comportòda bravo soldato, non pianse né si lamentò, più per paura di essere ripreso dal benzinaio che per vero coraggio.

Anche quando l’energumeno Agip decise di legargli un legnetto al braccino con i lacci delle scarpe, storse la bocca ma non urlò. Lo portarono al pronto soccorso con ancora in dosso i suoi guantini gialli dato che si rifiutava testardamente di toglierli. L’infermiera, ignara dei loro poteri magici, uso’ dei forbicioni per tagliargleli di dosso e li butto’ nella spazzatura tra tamponi e garze insanguinate. La madre arrivò che lui era gia in sala gessi.

L’infermiera continuava a rassicurarlo e lui non si accorse che il medico ed un altro infermiere gli si erano seduti davanti ed un altro alle proprie spalle. Fu un attimo e per la prima volta nella sua vita urlò veramente sentendo un dolore lancinante che lo colpiva a tradimento. I quattro gli avevano tirato il braccio con tutta la loro forza per ricomporre la frattura prima di ingessare. La madre seduta fuori dalla sala gessi, si alzò di scatto ad occhi spalancati, non pensando che il figlio potesse provare un tale dolore e quasi si sentì svenire.

Quel giorno imparò che nelle braccia abbiamo due ossa, l’ulna ed il radio, gliele avevano fatte vedere nelle lastre sottili e bianche. La cannonata del benzinaio psicotico gliele aveva spezzate entrambe a meta’ di netto, ed ora ne aveva quattro: doveva trovare altri due nomi.

Il San Lazzaro vinse il campionato, ed il Dalla si convinse che Chiesa era il portiere titolare. Non lo visitò all’ospedale, ne pensò di fare un colpo di telefono ai genitori. La madre minacciò di dare fuoco al suo distributore Agip ma poi si convinse che non ne valeva la pena: gente troppo per bene a mischiarsi a cafoni psicopatici come quello.

Dopo quaranta giorni di gesso ed un paio di mesi passati ad immergere il braccio nel caglio bollente nel caseificio della zia (altra tortura fatta a fin di bene, visto che avrebbe aiutato la calcificazione), la madre gli fece promettere di non giocare più in porta.

Mantenne la promessa sino ad un bel mattino ad inizio Luglio, quando il nonno, come spesso faceva, lo accompagnò al parco Cittadella. Il nonno Walter stava riprendendosi da un paio di tremendi infarti avuti nei mesi precedenti, e sotto raccomandazione medica doveva evitare qualsiasi tipo di emozione.

Lo lasciò nel campetto dove dei bimbi della sua età stavano giocando a pallone ; vedendo il suo sguardo eccitato decise di lasciarlo giocare e si diresse verso le panche dove altri anziani si scannavano in tornei di briscola e tresette: lui era un mago venerato delle carte piacentine.

Dopo una mezzoretta di partita, ad un bimbetto sfigato che non vedeva palla venne la brillante idea di iniziare una gara ai rigori. Chi sbagliava andava in porta. Il nostro eroe riuscì a segnare i primi due rigori evitando così il suo turno in porta, dato che l’aveva promesso al nonno. Al terzo rigore però il piede aveva grattato il suolo e ne era uscita una ciofeca di tiro che mise 5 minuti per percorrere la distanza dal rigore. Il bimbetto che faceva il portiere agguantò la palla soddisfatto, zompettando verso il dischetto del rigore indicandogli di accomodarsi in porta.

Avrebbe voluto dire che non poteva, che aveva promesso ma quei bimbetti non l’avrebbero bevuta e avrebbero pensato che se la stava facendo addosso. Cosi, mogio per il doversi rimangiare la promessa fatta al nonno, si posizionò sulla linea di porta

Continua e termina nel prossimo: Season 2 Episode 7 – La storia del bimbo coi guanti gialli e del benzinaio psicopatico (Part 3)

Season 2 Episode 6 – La storia del bimbo coi guanti gialli e del benzinaio psicopatico (Part 1)

Ciao Nico,

Come procede? Immagino che ti annoi un pochino li dentro, allora lascia che ti racconti un’altra storia del buon Robin… così ti passa un pò il tempo 😉

Quando aveva 8 anni il padre lo portò, insieme all’amichetto del catechismo Maurizio, ai primi allenamenti con la squadra dei pulcini del San Lazzaro. Era una squadra di amici che giocavano insieme da qualche anno e vivevano tutti nel quartiere. Lui e Maurizio venivano da fuori, ed erano in quel campo solo a causa dell’insistenza dello zio Giorgio, che si vantava di un glorioso passato di giocatore nella stessa società vent’anni prima.

Sin dall’inizio era chiaro che di talento per calciare quella palla enorme e pesantissima ce n’era ben poco. Lui ce la metteva tutta ed usava la sua gambina come una mazza da golf che si distendeva schiantandosi sul cuoio riusciendo a malapena a farle fare un giro completo. C’era poi il problema degli spogliatoi. Lui e Maurizio arrivavano sempre tardi, non volendosi spogliare con gli altri bambini per poi essere gli unici ad andare sotto la doccia col costumino del mare, tra le risate e prese in giro generali.

Maurizio durò solo qualche settimana prima di gettare la spugna e dedicarsi al ballo liscio a tempo pieno. Ci vollero mesi prima di conquistarsi un minimo di credibilità ed una maglietta da panchinaro, l’unica senza numero. Aspettava le convocazioni con ansia al giovedì pomeriggio al termine dell’allenamento, ma per un paio d’anni riusci a sedersi in panchina una dozzina di volte.

Un giorno addirittura durante le fasi finali di un incontro si sentì dire di iniziare a scaldarsi che sarebbe entrato. Passò dieci minuti a fare scatti e piegamenti a ridosso della panchina con una smania che gli impediva di respirare. Non riusciva nemmeno a guardare il padre come sempre nascosto in silenzio dietro la rete, per paura di scoppiare a piangere dalla contentezza. Quando finalmente il gioco fu fermato e tutto sembrò pronto per il cambio, l’allenatore lo chiamo a sé, lui arrivò di corsa, era già esausto da tutto quel riscaldamento ma spinse in uno scatto tremendo per arrivare a sentire le istruzioni del mister.

Le istruzioni furono: « Dai ! Togliti la maglietta e dalla a Piccinini che deve entrare ».  Il cicciottello con la canottiera seduto in panchina si alzo’ sogghignando ed allungò la mano strappandogli letteralmente la maglietta di dosso. La lotta per la maglia senza numero in panchina era normalmente tra quei due. Il nostro eroe in lacrime si infilò l’enorme canottiera sudata di Piccinini e si sedette in silenzio.

Una volta effettuato l’ultimo cambio l’allenatore si voltava verso gli altri bambini ancora seduti in panchina e gli gridava : « Su voi, a far la doccia che almeno avete l’acqua calda ! ». Almeno una consolazione te la dava…

Quella era la voce rauca del suo allenatore, «il Dalla » alias Dallaturca Sergio, benzinaio Agip, creatura mitologica, metà uomo e metà animale bastardo.  Quella stessa voce spaventava i passeri appollaiati sulla rete metallica facendoli emigrare in Madagascar in tempi record. Quando ti urlava il Dalla piangevi dentro, i muscoli facciali ti si inchiodavano al teschio dalla paura, le lacrime evaporavano in nuvolette soffici. Tutti avevano una paura fottuta e non se la facevano addosso solo per paura di peggiorare le cose.

Quel benzinaio era alto e grosso, con due baffoni scuri e due mani che parevano badili. Aveva una stramaledetta passione per il calcio anche se non aveva veramente idea. Essendo un perdente nella vita, lui era nel calcio per vincere, non importava come; vincere era tutto, non ci dormiva la notte e non ci metteva le mani addosso solo perché c’era sempre qualche genitore presente. La sua idea di sport per bimbi era creare e forgiare un esercito spartano di piccoli gladiatori col sangue alla bocca. Per farlo li sottoponeva ad allenamenti estenuanti, sempre più duri e spigolosi. Quei bimbi terrorizzati sputavano l’anima per paura piuttosto che per passione. Fortuna voleva che la squadra prescelta per la sua missione di conquista del mondo calcistico sarebbe stata il San Lazzaro, classe ’70, la stessa squadra in cui l’insistente zio Giorgio aveva deciso di mandare il nipotino.

Per il Dalla gli allenamenti si tenevano regolarmente con qualsiasi condizione metereologica. Un giorno col campo coperto da uno strato di neve, sembrava di vederlo sogghignare sotto i baffi nel vedere quei bimbi rincorrere faticosamente il pallone. Ma se c’era una cosa che al bambino della nostra storia piaceva da matti era quello di buttarsi in capriole nella neve soffice. Il caso volle che lo mettessero in porta, e lui si distinse in tuffi dissennati verso ogni tiro che arrivava dalle sue parti. Non aveva idea, ma non aveva paura a tuffarsi e quando la palla arrivava gli si buttava contro con tutto il corpo facendosi colpire. Per lui quello era un bel gioco.

Al Dalla gli si illuminarono gli occhi, fermò il gioco e raccolse qualche pallone, chiedendo ai suoi guerrieri stanchi di calciare verso quel piccolo agilissimo acrobata.

Alla domenica seguente quel bimbo sfoggiò soddisfatto la maglia grigia col numero dodici passando davanti al padre sempre in piedi dietro la rete, andandosi ad accomodare in panchina di fianco a Piccinini, anch’egli soddisfatto con la sua maglietta senza numero…

continua in Season 2 Episode 7 – La storia del bimbo coi guanti gialli e del benzinaio psicopatico (Part 2)